Giacomo Leopardi – L’infinito. Analisi metrica, retorica, parafrasi, commento

L’infinito

Sempre caro mi fu quest’rmo colle,
e questa siepe che da tanta parte
dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
Spazi di là  da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo, ove per poco
Il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante io quello
Infinito silenzio e questa voce
Vo’ comparando: e mi sovvien l’terno,
e le morte stagioni e la presente
e viva e il suon di lei. Così tra questa
Immensità  s’annega il pensier mio:
e il naufragar m’è dolce in questo mare.

Parafrasi:

Questo colle (il monte Tabor, nei pressi di Recanati) solitario mi fu sempre caro, e anche questa siepe che esclude lo sguardo da una porzione consistente dell’orizzonte più lontano. Ma mentre siedo e contemplo, io immagino gli spazi senza fine oltre la siepe, e i silenzi soprannaturali e la quiete profondissima, al punto che il cuore si turba smarrito. E quando sento stormire il vento tra i rami di queste piante, io vado paragonando quell’infinito silenzio a questo suono (del vento): e mi giunge in supporto l’ternità , e gli anni passati e dimenticati e il presente ancor vivo con le sue manifestazioni. In questo modo il mio pensiero si immerge fino ad annullarsi in questo senso di immensità : ed è dolce per me il naufragare (del pensiero dalla ragione) in questo mare (il senso dell’infinito).

Commento:

L’infinito fu composto nel 1819. In quegli anni entrano in crisi quelli che erano i riferimenti letterari e poetici di Leopardi (Recanati, 1798 – Napoli, 1837), in risposta all’acuirsi del suo pessimismo e all’avvicinarsi alla filosifia del sensismo. Questo cambiamento si traduce negli Idilli, di cui l’Infinito è il primo componimento. Pur rimanendo all’interno di un solco classico vi si riscontrano importanti aspetti innovativi, a partire dal metro, endecasillabi sciolti e senza alcuna struttura strofica, e da una ricerca sul linguaggio o, meglio sui significati, sulla semiotica del linguaggio, tanto importante per la storia della poesia italiana da giungere fino al Novecento con, tra gli altri, Ungaretti e Quasimodo.
In un’ottica moderna, in cui Dio e, di conseguenza, il suo rapporto con l’uomo, non sono più al centro di una visione dell’sistenza esaustiva e completa a se stessa, ma in cui la ricerca scientifica e filosofica, a partire dal diffondersi della rivoluzione copernicana, ne hanno ampliato la visuale e le opportunità  ma allo stesso tempo creato nuove problematiche interpretative ed esistenziali, Leopardi si pone di fronte a elementi universali come lo spazio e il tempo tentando di sviluppare una sua nuova e personale poetica. Il principio da cui parte è metodologico, ovvero come confrontarsi con questi argomenti liberandosi dalle strutture filosofico teoretiche tradizionali e calandosi per contrasto nella realtà  quotidiana, affrontandoli in modo soggettivo, personale, psicologico. Uscendo, in altre parole da un lirismo neoclassico di maniera, per tentare una nuova e più viva, contemporanea, fondazione di un lirismo come era stato quello petrarchesco delle origini. Gli strumenti per questo processo glieli fornì la filosofia sensista con il suo approccio alla conoscenza affidato esclusivamente ai sensi e al sentire.
Dal punto di vista del linguaggio poetico ciò si traduce in scelte lessicali e di significato tendenti al vago, al non chiaramente definito, ad un uso frequente dell’pifrasi, all’utilizzo di elementi descrittivi scevri da orpelli, quasi basilari (“Sempre caro mi fu quest’rmo colle, e questa siepe…), nell’utilizzo di tempi verbali volti al presente, ma un presente vago anch’sso (“sedendo e mirando), funzionale ad un processo di astrazione (vv. 4-8), accostando le coppie spazio/tempo e finito/infinito partendo da una situazione vissuta ma allo stesso tempo resa quasi topica, con un evento concreto (“il vento odo stormir) a fare spartiacque, da momento scatenante per il passaggio da un elemento all’altro, e infine un paragone, il quale rimanda alle categorie di morte e vita, il ritorno ad un presente, un presente trasfigurato che porta smarrimento. E piacere.

Analisi metrica:

L’infinito è un componimento in [link=http://ilmorgante.altervista.org/e107_plugins/content/content.php?content.1024]endecasillabi[/link] [link=http://ilmorgante.altervista.org/e107_plugins/content/content.php?content.1049]sciolti[/link].

Presenza di [link=http://ilmorgante.altervista.org/e107_plugins/content/content.php?content.1019]elisione[/link]: quest’rmo (v. 1), s’annega (v. 14), m’è (v. 15).
Presenza di [link=http://ilmorgante.altervista.org/e107_plugins/content/content.php?content.1021]apocope[/link]: pensier (v. 7), cor (v. 8), stormir (v. 9), sovvien (v. 11), suon (v. 13), pensier (v. 14), naufragar (v. 15).
Presenza di [link=http://ilmorgante.altervista.org/e107_plugins/content/content.php?content.1022]enjabement[/link]: vv. 2-3, vv. 4-5, vv 7-8, vv. 8-9, vv. 9-10, vv. 10-11, vv. 12-13, vv. 13-14.

Analisi retorica:

Presenza di [link=http://ilmorgante.altervista.org/e107_plugins/content/content.php?content.33]allitterazioni[/link]: c (v. 1), d,s (vv. 5-6), p (v. 7), s, c (v. 8), q (v. 9), v (vv. 10-11), e, s, r, n (vv. 11-12-13), m, s, n, r (vv. 14-15).
[link=http://ilmorgante.altervista.org/e107_plugins/content/content.php?content.44]Anastrofe[/link]: Sempre caro mi fu (v. 1), quest’rmo colle (v. 1), il guardo esclude (v. 3), Io nel pensier mi fingo (v. 7), il vento odo stormir (vv. 8-9), pensier mio (v. 14).
[link=http://ilmorgante.altervista.org/e107_plugins/content/content.php?content.65]Epifrasi[/link]: Sempre caro mi fu quest’rmo colle, e questa siepe (vv.1-2), Ma sedendo e mirando, interminati Spazi di là  da quella, e sovrumani Silenzi, e profondissima quiete (vv. 4-5-6), io quello Infinito silenzio e questa voce Vo’ comparando (vv. 9-10-11), mi sovvien l’terno, e le morte stagioni e la presente e viva e il suon di lei (vv. 11-12-13).
[link=http://ilmorgante.altervista.org/e107_plugins/content/content.php?content.72]Iperbato[/link]: questa siepe che da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude (vv.2-3), profondissima quiete Io nel pensier mi fingo, ove per poco Il cor non si spaura (vv. 6-7-8), Così tra questa Immensità  s’annega il pensier mio (vv. 13-14).
[link=http://ilmorgante.altervista.org/e107_plugins/content/content.php?content.58]Climax[/link]: Sempre caro mi fu quest’rmo colle, e questa siepe (vv. 1-2), Immensità  s’annega il pensier mio: e il naufragar (vv. 14-15).
[link=http://ilmorgante.altervista.org/e107_plugins/content/content.php?content.51]Iperbole[/link]: interminati (v. 4), sovrumani (v. 5), profondissima (v. 6).
[link=http://ilmorgante.altervista.org/e107_plugins/content/content.php?content.46]Antitesi[/link]: Infinito silenzio e questa voce (v. 10), e mi sovvien l’terno, e le morte stagioni (vv. 11-12), le morte stagioni e la presente e viva (vv. 12-13).
[link=http://ilmorgante.altervista.org/e107_plugins/content/content.php?content.50]Polisindeto[/link]: e sovrumani Silenzi, e profondissima quiete (vv. 5-6), e mi sovvien l’terno, e le morte stagioni e la presente e viva e il suon di lei (vv. 11-12-13).
Onomatopea: stormir (v. 9).
[link=http://ilmorgante.altervista.org/e107_plugins/content/content.php?content.74]Ossimoro[/link]: e il naufragar m’è dolce in questo mare (v. 15).

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